L’unica unità di misura accettata da chi bazzica sui motori è la potenza, che si tratti di cavalli, cavalli vapore o i maldigeriti kilowatt.
E’ il primo dato che cerchiamo sulle schede tecniche ed è anche quello, forse l’unico, che meglio ricordiamo.
Quello strano solido metallico, ormai unificato in alluminio, nasconde dentro di sé una serie di misteri che sono normalmente sconosciuti all’utenza, ma che combinati tra loro danno come risultato un’emozione. Anzi, “l’emozione”; indescrivibile a parole, esattamente come un’esperienza mistica.
Uno di questi misteri è il dimensionamento dei volumi di cilindrata, ossia le misure che indicano le potenzialità e le peculiarità di un propulsore. I famosi: alesaggio (o diametro) e corsa.
Il motore altro non è che una pompa: aspira aria, la miscela con un combustibile, la comprime, grazie alla temperatura ne aumenta il volume, si espande generando forza meccanica per riprendere il ciclo.
Quello che accade nella camera di combustione è che l’aria che entra viene compressa, aumentando la compressione aumenta la pressione relativa (atm per cmq) e la temperatura. L’aumento di temperatura fa aumentare ulteriormente la pressione relativa. Quindi avviene la combustione che incrementa ulteriormante la temperatura; che aumenta il volume; che aumenta la pressione relativa.
Dopodiché inizia l’espansione, la camera di combustione aumenta di volume e la pressione relativa diminuisce. I gas lambiscono le pareti del cilindro e cedono temperatura abbassando ancora la pressione. Infine non vi è più pressione sufficiente e si apre la valvola di scarico.
L’architettura più indicata per un motore 4T a benzina è l’avere l’alesaggio (diametro) superiore alla corsa (superquadro). Si ha un ampio spazio sul cielo della camera di combustione per inserire valvole più grandi (maggior superficie da sfruttare per spazi di aspirazione e scarico) e maggior superficie del pistone (più Cmq su cui scaricare la pressione).
I rapidi tempi di combustione permettono di aprire la valvola di scarico dopo pochi millisecondi dallo scoccare della scintilla, la corsa ridotta permette di raggiungere alti regimi di giri pur mantenendo una velocità media del pistone relativamente bassa (il che si traduce con minor usura).
Nel motore 2T, nonostante gli si richieda un alto, se non altissimo, numero di giri, si tende a preferire un alesaggio simile alla corsa (motore quadro). Il problema nasce dal fatto che sul cilindro sono inseriti i passaggi per il travaso e lo scarico, che hanno bisogno del loro spazio per garantire la giusta portata ed il tempo per la movimentazione dei fluidi.
Per il diesel (4T) si preferiscono invece le corse lunghe. Bassi regimi di giri e lunghe combustioni prediligono questa architettura. La lenta combustione (motivo per cui i Diesel non possono avere alti regimi di giri) e le temperature molto elevate, permettono ai gas di espandersi per un tempo lungo, così da generare una ridotta perdita di pressione durante l’espansione.
Se è vero che un motore a corsa lunga ha una superficie del pistone ridotta rispetto ad un pari cilindrata unitaria superquadro, quindi una spinta istantanea inferiore (meno Cmq su cui scaricare la pressione), è ben compensato dalla diminuzione dello sforzo data dal braccio di leva più lungo sull’albero a gomiti.
Il motore “lungo”non è tuttavia da sottovalutare, molti motori particolarmente “nervosi” del passato erano motori a corsa lunga, basti ricordare, per citare i più famosi, gli Alfa Romeo che hanno equipaggiato tutta la produzione del Portello e di Arese.
E adesso, apriamo il gas e via.
Lo Zingaro
4 risposte a "Le 3 architetture dei motori a combustione interna"