Story

«Mamma che macchina è quella?» Queste sono le prime parole che ricordo di aver pronunciato. Vaghi ricordi, avevo forse quattro anni.

Le auto passavano sotto casa mia e dal balcone le guardavo affascinato come fossero giocattoli in vetrina.

Probabilmente a quell’epoca erano solo scatole che si muovevano facendo un po’ di rumore.

Erano i tempi delle seicento, delle ottocentocinquanta, delle millecento come quella del mio papà.

Delle Appia, delle Giulietta e la nuova 500 era veramente nuova.

I miei regali di Natale erano libri sull’automobile. Cataloghi, le volevo conoscere tutte. Volevo sapere quali auto venivano costruite e le loro caratteristiche. Non mi perdevo un solo salone dell’auto, a quel tempo ancora nella nobile cornice del Torino Esposizioni, al parco del Valentino, sulle rive del Po.

Un altro regalo che ebbi dai miei genitori fu la prima enciclopedia specifica sull’automobile (almeno in Italia). Pubblicata a fascicoli settimanali la raccolta durò più di tre anni.

Finita la scuola dell’obbligo optai per un deludente programma di studi come disegnatore di carrozzeria, che la scuola aveva eliminato giusto quell’anno senza preavviso, trasformandolo in disegnatore meccanico. È vero che i primi anni sono uguali ma la sensazione psicologica era quella di essere stato tradito. Anche perché mi fu comunicato solo il primo giorno di scuola.

Tra scioperi, assemblee e occupazioni scolastiche furono più i giorni a casa che quelli di studio; al che, mio padre, che non intendeva pagare per un figlio già sfaccendato di suo una scuola che non permetteva neppure di farmi fare quel poco che le mie capacità mi consentivano, mi propose di andare a lavorare nella stessa azienda dove lavorava lui.

Erano gli anni 70’, e Torino era piena di aziende che lavoravano nel settore che oggi si chiama: “Automotive”.

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Dove lavorava mio padre si costruivano attrezzature per lo stampaggio e l’assemblaggio di carrozzerie automobilistiche. Il solo stabilimento principale, quello di Grugliasco (TO), dava lavoro a un migliaio di persone.

Me ne andai dopo tredici anni e dopo aver passato tre reparti: Collaudo benestarista, collaudo accettazione e aggiustatore meccanico.

Nel primo e secondo incarico ho conosciuto il disegno di carrozzeria e le varie fasi della lavorazione, ma soprattutto ho avuto una panoramica sull’azienda e di conseguenza sui procedimenti di formazione della carrozzeria; dall’ufficio tecnico che forniva i disegni, alle attrezzature e alle procedure di stampaggio e assemblaggio degli elementi sino alle scocche finite pronte per la verniciatura.

Nel terzo incarico ho imparato la lavorazione manuale dei materiali, dalla carpenteria alla meccanica fine. Dall’uso degli strumenti manuali al coordinare il lavoro per le macchine utensili.

Furono anche gli anni della mia adolescenza motoristica, con i primi stipendi mi feci comprare il motorino che, come da prassi, attrezzai subito con un carburatore maggiorato. Poi con la maggiore età e la patente ereditai la vecchia 500 di mia madre, che grazie ad un amico, garzone presso un elettrauto, la personalizzai con accessori in voga in quegli anni.

Nel frattempo mi ritrovai nell’età in cui tutti i maschietti erano chiamati a servire la patria. Credevo di concedermi una pausa di un anno invece mi ritrovai a fare l’autista nella Brigata Taurinense, in Artiglieria da Montagna e per non farmi mancare nulla mi inserirono tra i patentati per gli autocarri con rimorchi pesanti (la patente nella conversione civile si trasformerà in C-E) a trainare cannoni per la truppa sui campi di battaglia. Ciliegina sulla torta (chissà come mai ci va sempre la ciliegia sulla torta) mi ritrovai aggregato alla N.A.T.O. il che mi portò a farmi tre settimane di addestramento sui ghiacci della Norvegia e altre tre nei fanghi della Germania.

Ritornato al corpo di appartenenza, una bella settimana tra le polveri dell’Etna.

Da –38 in Norvegia a +40 in Sicilia.

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Al ritorno comprai un’auto nuova, la Talbot Samba, nella sua versione base.

Fu un’ottima vettura sulla quale sperimentai qualche altra soluzione, sostanzialmente collegata all’impianto elettrico.

Dopo un anno di possesso mi ritrovai a cambiare l’olio in un’officina di periferia, e il meccanico, gentilissimo e corretto, mi disse che non era in possesso dell’olio che richiedevo io (quello previsto dalla casa) ma aveva confezioni di quell’olio che era stato sostituito da quello da me richiesto. Accettai il cambio e ritirai la vettura tagliandata.

Al cambio d’olio seguente, avevo notato che vi era stato un abbassamento anomalo del livello, quindi all’officina della concessionaria chiesi il cambio d’olio abbinato al cambio del filtro (per non mischiare i due tipi di olio, come era ancora d’abitudine in quegli anni).

Al ritiro della vettura il meccanico mi fece notare che non aveva cambiato il filtro perché erano stati percorsi pochi chilometri dall’ultimo cambio. Cosa corretta, in un tempo che si faceva un cambio di filtro ogni due cambi di olio, e ad essere sincero me lo aspettavo che succedesse: io non avevo avvisato l’officina del diverso tipo di olio e il meccanico a pensato di farmi risparmiare un po’. Lodevole.

Quando glielo feci notare, non con rabbia o in modo scortese ma come mera informazione, mi rispose:

“Ah ma noi facciamo girare il motore con un olio di lavaggio”

Pur di salvare la sua professionalità (che era già salva) si abbassò meschinamente così tanto da raccontarmi una bugia insostenibile. Il solo fatto che quell’auto fosse mia, che la guidassi, quindi che fossi in possesso di regolare permesso di guida, avrebbe dovuto farlo stare ben zitto.

Mi sentii così tanto preso in giro che promisi a me stesso che non avrei più portato l’auto dal meccanico, almeno per i lavori più semplici e che avrei imparato a fare quanti più lavori possibili da solo.

Era nata la mia personale officina.

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Dopo qualche tempo decisi di dotarmi di un’auto per passione, di una grande auto: Alfa Romeo 2000 Berlina, del 1975.

Non fu un grande affare. Certo, l’auto mi diede molte soddisfazioni ma era stata trattata malissimo sia di meccanica che di carrozzeria e toccava a me pagarne le conseguenze.

Al primo controllo un carburatorista mi fece notare che il motore girava a 3 cilindri. Avrei dovuto sistemarla prima di sottoporla a controlli e messe a punto.

Appena acquistata l’auto non avevo certo i fondi per portarla da un meccanico quindi, considerando che continuavo a scoprire imperfezioni e danni, decisi di provare a ripararla da solo. O riuscivo a ripararla, o finiva dal demolitore.

Cofano aperto. E adesso? Da dove cominciamo?

Tantissimi testi spiegano come è fatto un motore, come funziona, a cosa servono tutti i pezzi e pezzettini che lo compongono ma nessun testo che spieghi in pratica quali bulloni smontare, dove mettere le mani, come muoverle e quali malizie mi avrebbero aiutato.

Caso vuole, che nella ricerca di qualche testo utile mi imbattei in: “Elaboriamo il motore” di F. L. Facchinelli (HP BOOKS Editrice1984).

Fu una vera manna dal cielo, finalmente un libro che spiegava in modo pratico il motore e in più, insegnava anche i primi rudimenti di elaborazione.

In effetti, povero motore, aveva una valvola di scarico bruciata, consumata, col buco. Non poteva funzionare bene, neppure con tutta la buona volontà.

Dovetti portare la testata a fare spianare due volte (sbagliando si impara), ma sostituii e smerigliai le valvole, sostituii tutte le guarnizioni, revisionai i carburatori e feci un tagliando completo. Un lavoro ineccepibile terminato il venerdì sera.

Il giorno seguente avevo appuntamento ad Arese al museo Alfa Romeo.

La rivista “Ruoteclassiche”, nata solo qualche mese prima, per festeggiare aveva organizzato alcuni incontri con i suoi lettori offrendo visita guidata, gaggets e pranzo.

Io dovevo esserci. E dovevo esserci con la mia Alfa.

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Venerdì sera, serrato l’ultimo dado, fatto il livello ad acqua e olio, avviato per prova, tutto ok, domani si parte.

Il mio primo lavoro importante di meccanica motoristica era terminato.

Sabato. La giornata inizia presto. Innanzitutto attraversare al città, poi fare benzina.

Giunto quasi all’autostrada si solleva dal cofano una fumata bianca. Panico! Riprendo un po’ il controllo di me e mi rassicuro, si tratta solo di vapore acqueo.

Accosto presso un distributore di carburanti, giusto per poter avere un minimo di assistenza e constato il problema.

Il tappo di sfiato del circuito di raffreddamento era saltato e l’acqua zampillava allegramente per tutto il vano motore. Fortunatamente si era appoggiato tra il termostato e il coperchio del motore e lo recuperai. Una stretta con la chiave da 14, un rabbocco, pieno di benzina (anche per ringraziare il gestore della cortese assistenza gratuita) e via! Destinazione Arese, Museo Alfa.

Il motore non mi diede mai più problemi.

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Trasferitomi a Milano trovai lavoro presso un magazzino di ricambi auto. Uno di quei vecchi magazzini da grossisti della Milano laboriosa, quella degli imprenditori che si tirano su le maniche e costruiscono aziende sul buon nome e la reputazione personale.

Ma la famiglia voleva il suo tornaconto e la paga da magazziniere non bastava, quindi decisi di sfruttare la patente (che nel frattempo avevo trasformato in D-E, il che mi consentiva di condurre qualsiasi tipo di veicolo, anche gli autobus) e cercare come autista.

Nella mia carriera di autista mi ritrovai a svolgere, nel corso degli anni, diverse funzioni. Le più importanti sono state: il trasporto di rifiuti speciali (con furgone, con autotreno e con autoarticolato), il rifornimento aereo, trasporto su estero e presso un’azienda di sollevamenti che gestiva, nel suo parco automezzi, autotreni, autoarticolati e autogrù anche di dimensioni tali da rientrare nell’ordine dei trasporti eccezionali sia per peso che per dimensioni.

Aggiungo alcune fugaci esperienze nel campo del trasporto terra, autosoccorso e spurghi.

Negli ultimi due anni alla guida di autobus, sia di linea che turistici.

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La mia permanenza in Lombardia vide crescere enormemente la mia competenza motoristica. Tra le mie auto e quelle di mia moglie curavo riparazioni e messe a punto.

Ho imparato a tenere traccia dei lavori eseguiti, compilando schede da me studiate appositamente, mi sono fornito di attrezzature varie per i più disparati lavori ma soprattutto capii una cosa molto importante: non potevo permettermi di sbagliare. Dovevo essere un meccanico perfetto, fare riparazioni ineccepibili, meglio di qualsiasi altra officina.

Un errore che avesse causato un incidente o che solo ne potesse sollevare il sospetto lo avrei pagato troppo caro. Legalmente, finanziariamente e psicologicamente.

Milano offre molte opportunità. Frequentai un corso di motorista presso una scuola privata, ne uscii con un esito di 100/100 (parlo del mio insegnante qui), diventai assiduo cliente della “Libreria dell’automobile” acquistando testi tecnici e i manuali d’officina per le auto di mio possesso o anche solo di mio interesse.

Testi in inglese, in francese, oltre ai più noti in italiano.

Oggi posseggo una piccola biblioteca motoristica che fa invidia alle più importanti biblioteche della città.

Milano mi ha visto anche iscrivermi ad un corso di guida sicura presso l’autodromo di Monza. Ma più che di guida sicura, lo definirei di guida pazza. Una due giorni full-immersion tra teoria e pratica che grazie alle abilità acquisite si era ripagato in sole due settimane (e i benefici continuano nel tempo, anche oggi). Questo in un periodo in cui erano poche le scuole di guida specializzate e il loro costo era elevatissimo.

In compenso gli istruttori e i titolari erano tutti eccelsi.

Una serie di circostanze fortuite e la mia passione aggiuntiva per la fotografia mi hanno portato a ritrovarmi con libero accesso a quasi tutte le manifestazioni dell’autodromo di Monza (tranne la F.1 che segue altri canali).

Superbike, superturismo, trofei vari, gare club, Monza Rally Show (ex Rally di Monza) ed altri. Seguivo sia ai box che a bordo pista.

Siccome la Lombardia è ricca anche di manifestazioni e mercatini di automobilia d’epoca, non mancavo neppure a quelle manifestazioni.

Se non conosci la strada breve per evitare la coda a Novegro (MI), significa che non ci sei stato abbastanza volte.

Per unire l’utile al dilettevole, tra le competizioni e le auto d’epoca (la dove i meccanici possono essere esclusivamente eccelsi, altrimenti sono fuori), e viste le mie capacità, proponevo ai giornali le mie foto in qualità di free-lance. Ruoteclassiche (Domus) e Autosprint (Conti Editore).

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Terminata la mia permanenza in quel di Lombardia, costretto da altre incombenze ad allentare un po’ la presa, ho tuttavia continuato a tenermi informato come potevo, lavorando ancora sulle mie auto e acquistando testi tecnici e raccogliendo documentazione.

E adesso…